Il Confine del Marketing: Quando Vendere Diventa una Questione Etica

Il marketing è ovunque. Siamo costantemente bombardati da messaggi pubblicitari che cercano di catturare la nostra attenzione, di farci ridere, riflettere o, a volte, semplicemente scioccarci. Ma in questo mare di contenuti, ci si pone una domanda cruciale: è giusto veicolare il proprio messaggio in qualsiasi modo, purché colpisca il consumatore? In altre parole, il fine giustifica i mezzi?

Esempio di cartellone pubblicitario sessista.

L’Etica nel Marketing: dove tracciare la linea?

Il confine tra creatività e cattivo gusto è spesso sottile, e il marketing non fa eccezione. L’etica nel marketing non riguarda solo cosa dici, ma come lo dici e quale impatto ha sul pubblico. Oggi, le aziende devono considerare come le loro pubblicità influiscono sulla società, specialmente in un mondo in cui il pubblico è sempre più attento ai valori etici e alla sostenibilità.

Ma qui si apre un dibattito interessante. È giusto creare una pubblicità che sia eticamente discutibile se alla fine risulta memorabile e funzionale per l’azienda? Uno spot efficace deve colpire il bersaglio, ma a quale costo?

Un esempio contemporaneo: il caso DEGHI

Un recente spot pubblicitario del sito deghi.it, che vende arredamento per la casa, ci offre un esempio di questa dicotomia. Nella pubblicità una ragazza mostra la propria casa a un’amica. Quando entrambe entrano in bagno, con un clic la padrona di casa cambia arredamento e si vede un uomo nudo che fa la doccia. L’amica, ironica, chiede: “Posso ordinare anche lui?”

Spot Deghi.

Questa pubblicità, a prima vista, potrebbe sembrare divertente, ma punta tutto sull’oggettificazione dell’uomo. A dirla tutta lo spot di Deghi ribalta lo stereotipo sessista, facendo con l’uomo quello che (purtroppo) fino ad oggi è spesso stato fatto alla donna.

Questo tipo di pubblicità però ci porta indietro di almeno 20 anni, rievocando i vecchi spot basati sul sessismo ed i doppi sensi, come la famosa pubblicità di Fernovus Saratoga con il suo “Brava Giovanna, brava!”. Anche allora si trattava di spot volutamente ambigui, che puntavano a far sorridere, ma che oggi, nel contesto di un’epoca diversa, risultano anacronistici e, per alcuni, di cattivo gusto.

Famoso spot Fernovus Saratoga “Brava Giovanna”.

La domanda è: queste pubblicità funzionano ancora? La risposta è sì, funzionano benissimo! Ma la vera questione è un’altra: è giusto sfruttare certi meccanismi, anche se rischiano di rinforzare stereotipi o trasmettere messaggi discutibili?

Il Marketing ha una responsabilità sociale?

Chi fa pubblicità dovrebbe porsi dei limiti? È qui che entriamo nel cuore del marketing etico. Il pubblicitario ha una responsabilità non solo verso il cliente per cui lavora, ma anche verso la società. Plasmare le opinioni, gli atteggiamenti e i valori delle persone è un potere enorme, e come tale va maneggiato con cautela.

Nel caso dello spot di DEGHI c’è una scelta consapevole di puntare sul cliché per ottenere risate facili e far sì che il brand resti impresso nella mente dello spettatore. Ma in un’epoca in cui le aziende sono chiamate a essere più inclusive, rispettose e attente alle questioni sociali, possiamo davvero giustificare questi approcci?

Impariamo da chi ci è passato prima

La tentazione di creare uno spot memorabile, anche a costo di offendere o polarizzare il pubblico, è forte. La pubblicità, sin dai suoi albori, ha sempre giocato con il provocatorio. Ma oggi, in un mondo iperconnesso e sensibilizzato su temi come il rispetto, l’inclusività e l’ambiente, le aziende possono ancora permettersi di “giocare sporco” per colpire?

Qualche anno dopo l’intramontabile “Brava Giovanna, brava!”, Saratoga è corsa ai ripari con uno spot che tradisce la necessità di riposizionare il brand in un mondo che stava imparando a condannare l’oggettificazione femminile.

Il sequel di “Brava Giovanna, brava!”

Le campagne che fanno appello a stereotipi di genere, a umorismi sessisti o a cliché culturali funzionano perché fanno leva su schemi cognitivi ben radicati, ma a quale costo? L’idea di “qualsiasi pubblicità è buona pubblicità” sta lentamente cedendo il passo a un nuovo concetto: pubblicità giusta e responsabile. Oggi, le aziende che vogliono davvero fare la differenza non possono limitarsi a vendere un prodotto; devono vendere anche valori.

Le aziende devono essere “Sostenibili” anche nel loro marketing

Integrarsi in maniera etica nel marketing significa essere coerenti con i propri valori. Non basta dichiararsi attenti all’ambiente, alla diversità o al benessere sociale; bisogna dimostrarlo con azioni concrete. Il marketing etico non è solo una questione di “buona immagine”, ma una strategia vincente a lungo termine.

Le aziende che riescono (sinceramente) a conciliare profitto e principi etici hanno molto più da guadagnare.

Cosa ne pensiamo davvero?

È chiaro che non esiste una risposta univoca alla domanda: il fine giustifica i mezzi nel marketing? Per alcuni, l’obiettivo ultimo della pubblicità rimane vendere, e tutto ciò che porta al successo è giustificabile. Per altri invece, la pubblicità ha una missione più alta: plasmare una società migliore attraverso messaggi che educano, ispirano e rispettano il pubblico.

Esempio di pubblicità in grado di educare il pubblico.

Personalmente, penso che non possiamo ignorare l’impatto che abbiamo sulle persone e sulla società nel suo complesso. E se è vero che le pubblicità come quelle di DEGHI o di Saratoga funzionano, non è detto che rappresentino il futuro del marketing. Forse è tempo di fare un passo avanti.